09/10/2013
Giappone: Quando il Sushi non basta
AcomeA Asia PacificoOggi faremo brevemente il punto sulla situazione macroeconomica del paese del Sol Levante alla luce del recente aumento dell’Iva stabilito dal governo negli scorsi giorni.
Per riassumere, la politica di rilancio (soprannominata “Abenomics”) che il governo del primo ministro Abe ha deciso di intraprendere si fonda su tre pilastri:
1) Quantitative easing della banca centrale con target di inflazione al 2%
2) Pacchetto di stimoli fiscali e investimenti pubblici
3) Riforme strutturali volte a favorire la competitività del paese e a rilanciare gli investimenti domestici
Ad oggi i primi due sono già stati attuati con la banca centrale che ha promesso di raddoppiare la base monetaria e sconfiggere così la più che decennale deflazione che affligge il paese e con il governo che ha approvato una manovra fiscale ingente e molto generosa. Complice il deprezzamento dello yen l’economia giapponese ha sinora reagito positivamente, con una crescita annualizzata del 4,1% nel primo trimestre e del 3.8% nel secondo, e gli indici di fiducia delle grandi imprese e piccole imprese sui massimi dal 2009.
Tutto procede secondo programma quindi? Non esattamente:
Come noto il Giappone è, tra i paesi sviluppati,il più indebitato al mondo con un rapporto Debito/Pil che raggiungerà il 240% il prossimo anno e con un deficit pubblico per il 2013 di quasi il 10% del prodotto interno lordo. Per cercare di rassicurare gli investitori in titoli di stato (il cui decennale offre un rendimento di appena lo 0.65%) e stabilizzare le finanze pubbliche, il governo ha recentemente deciso di aumentare l’Iva dal 5% all’8% a partire da aprile 2014 con l’obiettivo di portarla al 10% nel 2015. Per controbilanciare temporaneamente questo incremento il governo ha approvato un ulteriore pacchetto di stimoli fiscali.
La storia ci insegna che gli effetti di un aumento dell’Iva sui consumi sono molto difficili da prevedere: l’ultima volta infatti che un governo giapponese aveva provato ad innalzare l’Iva correva l’anno 1997 e, complice la crisi asiatica e l’allora politica monetaria restrittiva, il paese era successivamente entrato in recessione peggiorando così lo stato delle finanze pubbliche. Questo aumento dell’imposizione rischia quindi di compromettere la ripresa economica in un momento tra l’altro molto delicato per il consumatore giapponese già schiacciato da un lato dalla costante riduzione in termini nominali dei salari e dall’altro dal tasso d’inflazione (0,9% ad agosto), che erode in termine reali il loro potere di acquisto.
L’inflazione è comunque ben lontana dal target indicato dalla banca centrale del 2%: infatti il dato, depurato dai beni alimentari ed energetici, è ancora in territorio negativo (-0.1%), segnalando come siano soprattutto i costi energetici ad essere lievitati a causa della chiusura degli impianti nucleari.
Il consumo interno in Giappone, pur essendo percentualmente inferiore alla media degli altri paese del G7, rappresenta quasi il 60% del Pil e una ripresa sostenibile deve necessariamente passare da un suo rilancio. Sotto questo punto di vista sono incoraggianti i dati della ripresa del credito (+3.17% ad agosto) soprattutto nel settore immobiliare, ma è’ chiaro che un vero rilancio dei consumi, considerando anche la difficile situazione demografica del paese, potrà avvenire solo attraverso un aumento nominale dei salari.
Ad oggi le aziende giapponesi, nonostante gli utili record, sembrano abbastanza restie ad un incremento delle retribuzioni e a nuovi investimenti domestici (tematica che può essere estesa anche ad altri paesi occidentali come gli Stati Uniti), accumulando liquidità nei propri bilanci (si stima oltre 220 trilion di yen, cioè più del Pil italiano).
Il governo Abe quindi, nell’implementare le necessarie riforme strutturali, dovrà rendere il mercato del lavoro più flessibile ed incentivare le aziende ad incrementare i salari e ad investire localmente, se vorrà far rinascere il paese del Sol Levante.
Pubblicato il 10/10/13
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